spot_img

La finiamo di sprecare? Perché non ci affidiamo all’economia delle prestazioni?

Per riuscire a ridurre lo “SPRECO” è necessario rivoluzionare il nostro modo di vivere: rinunciare alle cannucce di plastica e utilizzare una borsa di tela per fare la spesa è un inizio ma non è sufficiente. Non solo cibo, anche materie prime, oggetti, vestiti, dispositivi elettronici. La nostra generazione è abituata a comprare possedere e buttare troppe cose.

Lo sappiamo che la popolazione mondiale oggi utilizza 100 miliardi di tonnellate di materiale ogni anno, di cui oltre il 90% è materiale vergine, estratto in modi differenti dalla superficie terrestre?E che solo 30 miliardi del totale utilizzato serve per qualcosa che resta? Il rimanente viene bruciato oppure usato velocemente e buttato alimentando le grandi fosse di discarica fonte inevitabile di inquinamento.

L’uomo antico soddisfaceva i propri bisogni con risorse semplici, naturali: legno, pietra, metalli che lavorava con fatica e sudore. Gli oggetti erano conservati con cura, riparati finché non cadevano a pezzi ma anche a quel punto non erano abbandonati; venivano smembrati, riassemblati e riutilizzati laddove possibile.

Oggi usiamo più cose, più complesse: pensiamo solo all’edilizia: il cemento e l’acciaio hanno sostituito da tempo la pietra e il legno. Nell’elettronica i magneti sono costituiti da una miscela di elementi spesso rari difficili poi da separare nuovamente. L’estrazione e la lavorazione di questi elementi richiede energia ottenuta spesso bruciando combustibili fossili.

Stiamo cercando di sostituire le fonti fossili con fonti rinnovabili ma l’estrazione di materie prime ha ancora un enorme impatto sull’ambiente. Infine, molti materiali, al termine della loro vita, degradano lentamente e disperdono nell’ambiente sostanze chimiche inquinanti.

Abbigliamento riciclabile

Pensiamo all’abbigliamento: solo il 12% di ciò che “vestiamo e buttiamo” è recuperato in altri prodotti di valore inferiore e solo il 3% delle materie prime (cotone, plastica e altri materiali) è frutto di riciclo. Con i vestiti spesso il riciclo crea un downcycling o declassamento. La fast fashion o moda istantanea ha portato negli ultimi decenni a preferire capi di scarsa qualità che soddisfano il gusto del momento e possono essere presto sostituiti. Usiamo e gettiamo favoriti dal basso costo e dalla bassa qualità.

Cos’è l’economia delle prestazioni?

Qual è allora la ricetta ad oggi per rompere questa catena inquinante?

usiamo meno cose, teniamole finché durano, dove possibile ricicliamole, otteniamo prodotti di scarto che rigenerano la natura.

Si chiama economia delle prestazioni e consiste nel fabbricare e usare meno cose.

Già il principio di economia circolare ci aiuta a sviluppare idee lungo tutto questo virtuoso percorso e ad applicarle in diversi settori di produzione. Molti sostenitori dell’economia delle prestazioni affermano che, se vogliamo porre fine alla cultura dello scarto dovremmo usare materiali più semplici e prevedere processi di riprogettazione per poterne separare i componenti. Studiamo i flussi dei materiali non solo quando il loro ciclo di vita sta terminando e cerchiamo di applicare tecniche innovative per trasformarli anche durante il loro uso.  

L’economia delle prestazioni in Europa

Questo pensiero ha dato vita a norme, leggi, movimenti, associazioni unite da un filone di pensiero che a poco a poco aiuta a cambiare il nostro comportamento, in tutto il mondo, partendo dall’Europa.

In Francia, per esempio, a fronte di un invenduto annuale di 630 milioni di euro, Brune Poirson, ministro dell’ambiente nel 2019 ha approvato una norma che vieta la distruzione di merce prodotta e non venduta e nel 2021 è entrata in vigore la “legge antispreco per un’economia circolare” che si pone l’obiettivo di riciclare tutta la plastica entro il 2025 e di eliminare quella monouso entro il 2040. Per le aziende francesi inoltre è nata la “responsabilità estesa del produttore” che le rende responsabili delle loro merci anche quando vengono gettate.

Michael Broungart e William McDonough hanno pubblicato un libro “Cradle to cradle” –“Dalla culla alla culla” che spiega come progettare i prodotti pensando innanzitutto alla loro vita futura e aiuta le aziende a creare materiale seguendo questo principio.   Le aziende stesse ne trarranno beneficio perché se gli stessi prodotti possono essere realizzati con materiali di scarto anziché con materiali vergini vedranno indubbiamente aumentare i propri profitti.  

In Danimarca è nata Kalundborg Symbiosis, un distretto di impianti industriali che utilizzano rifiuti per produrre cose utili.  

In Inghilterra invece il principio della circolarità è stato applicato al trattamento delle acque reflue dalla Yorkshire Water: il server farm è una fabbrica di computer che raffredda le macchine senza utilizzare ventilatori elettrici né aria condizionata.

L’economia delle prestazioni ha portato anche in alcuni settori a sostituire la proprietà dei beni con l’affitto o la condivisione.

Pensiamo per esempio al car sharing che ci aiuta a passare dalla vendita di un prodotto alla vendita di un servizio per soddisfare la necessità di spostarsi. Applicato all’elettricità questo principio ha permesso alla Philips di pensare di vendere a hotel e uffici l’elettricità come servizio in abbonamento. Michelin invece noleggia pneumatici all’esercito e ad altre organizzazioni per esempio nel settore dell’aviazione.

Certo questi fenomeni porteranno ad uno spostamento radicale di posti di lavoro dalla produzione alla manutenzione e questo è probabilmente uno dei motivi per cui questa teoria non è ancora stata pienamente abbracciata da tutti i leader politici. Inoltre non tutti sono pronti a rinunciare al possesso di un bene a favore della condivisione.

Obiettivi sull’uso dei materiali

I dati però parlano chiaro: se l’uso dei materiali resterà invariato entro il 2060 l’estrazione globale di risorse raddoppierà arrivando a 190 miliardi di tonnellate all’anno. Anche le emissioni di anidride carbonica raddoppieranno arrivando a 70 miliardi di tonnellate all’anno.

Se invece riusciamo a ridurre l’uso di risorse vergini, l’estrazione globale di risorse resterebbe a pari 143 miliardi di tonnellate e le emissioni globali di anidride carbonica scenderebbero a meno di 5 miliardi di tonnellate.

Tutto questo senza intaccare il tenore di vita delle persone che potrebbe continuare a crescere: vale la pena provarci? Riusciamo ad abbandonare l’idea che per essere felici dobbiamo possedere una quantità di cose sempre maggiore?  

Articoli Correlati

Seguici sui social

2,081FansLike
0FollowersFollow
0SubscribersSubscribe
- Advertisement -spot_img

Articoli Recenti