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Cosa gettiamo nei nostri mari?

PLASTICA, PLASTICA E SOPRATTUTTO PLASTICA.

In media, l’80% degli oggetti trovati in mare sono di plastica. E’ di gran lunga il materiale dominante, seguito da metallo, vetro, abbigliamento e tessuti, gomma, carta, legno lavorato e da rifiuti derivanti dalle attività di pesca.

E’ questa la conclusione a cui giunge uno studio “An inshore-offshore sorting system revealed from global classification of ocean litter”, pubblicato su Nature Sustainability, che armonizza gli inventari mondiali dei tipi di rifiuti. Le differenze di composizioni dei cd. “pozzi di rifiuti“ rispecchiano fattori socio-economici chiari. Precisamente, la presenza in quantità elevate di plastica, rappresenta il risultato del modello economico lineare PRODUZIONE-USO-SMALTIMENTO.

Questi rifiuti tendono ad essere intrappolati nelle aree costiere per rilasciare nell’oceano aperto, piccoli frammenti.

Fig1.Primi dieci rifiuti in ambienti acquatici.

Le barre mostrano le percentuali medie per ambiente, mentre le aree e le linee di colore più scuro intorno alle medie mostrano rispettivamente i singoli output dei dati ( n  = 10.000) e il diagramma a fagiolo di distribuzione. 

Le incertezze dei risultati sono state quantificate attraverso 10.000 iterazioni Monte Carlo in ciascun ambiente 8 . Il colore della barra si riferisce all’origine potenziale (consumatore da asporto, industriale e domestico, oceano e corsi d’acqua). Gli elementi sopra i segni della linea orizzontale nella graduatoria comprendono almeno il 50% del totale degli elementi identificati. 

Nella graduatoria sono stati considerati solo gli elementi identificabili: acque fluviali ( n  = 1.950.571), alveo ( n  = 25.410), litorale ( n  = 9.864.628), acque costiere ( n = 13.130), acque aperte ( n  = 10.087), fondale vicino alla costa ( n  = 615.949) e fondale profondo ( n  = 70.302).

Lo studio dimostra come 10 tipi di prodotto rappresentano i tre quarti dei rifiuti trovati a livello globale. 

  • sacchetti (14% ± 8% in tutti gli ambienti),
  • bottiglie di plastica (12% ± 5%),
  • contenitori per alimenti e posate (9% ± 13%),
  • involucri (9% ± 14% ), corde sintetiche (8% ± 11%),
  • articoli legati alla pesca (ad esempio spaghi, fili, boe; 8% ± 8%),
  • cappucci e coperchi in plastica (6% ± 5%),
  • imballaggi industriali (3% ± 3%), bottiglie di vetro (3% ± 4%) e
  • lattine per bevande (3% ± 4%), possono considerarsi tracce indiscusse di attività antropica

E’ evidente come, il principale apporto catastrofico, parta dalla terraferma.

Fig. 3: Campioni raccolti con macroreti a strascico da acque superficiali offshore e nearshore.

Nella figura a (campioni offshore) vi è  una predominanza di plastiche di tipo rigido, articoli per la casa (appendiabiti, contenitori per detersivi e così via) e articoli legati alla pesca (distanziatori, pezzi di rete, fili da pesca e così via).

 Nella figura b (campioni nearshore), al contrario,  è evidente una prevalenza di plastica di tipo film, principalmente involucri e articoli correlati a copertura/imballaggio, dovuti al consumo da asporto.

Gli ambienti costieri trattengono i macrorifiuti. Gli episodi di spiaggiamento ritardano, infatti, l’incorporazione della plastica nelle zone di accumulo in oceano aperto. L’età della plastica oceanica e il ritrovamento di oggetti vecchi di decenni dimostrano quanto sia fondata questa conclusione.

Questo studio dovrebbe suscitare un’attenzione da parte di tutti gli attori dell’ecosistema in cui viviamo. Dalle Istituzioni ai privati, dal produttore ai consumatori. Siamo tutti responsabili. 

Un’educazione ambientale sin dalle scuole, un divieto di utilizzo del monouso ( in questo senso sta andando l’UE), una maggiore sensibilizzazione sullo stato di salute degli Oceani potrebbe essere un punto di partenza. 

Garantire modelli sostenibili di produzione e di consumo, conservare e utilizzare in modo durevole gli oceani, i mari e le risorse marine per uno sviluppo sostenibile, sono gli obietti dell’ONU per il 2030. Gli SDG 12 e 14, per “fare meno e meglio” e per salvare la principale fonte di sopravvivenza della nostra specie.

Gli Oceani e il Mare, infatti:

  • Ricoprono per tre quarti la superficie terrestre.
  • Regolano il clima.
  • Producono ossigeno e forniscono le risorse naturali e gli alimenti.
  • Sono fonte di reddito per più di 200 milioni di persone.

COSA POSSIAMO FARE?

 A suggerci azioni specifiche è il globalcompactnetwork .

• evitare di contaminare gli oceani e i mari attraverso le attività d’impresa e nell’ambito della catena di fornitura;

rispettare gli ecosistemi marini, costieri e la biodiversità marina nei luoghi prossimi agli impianti e stabilimenti aziendali;

• ridurre l’utilizzo di sostanze tossiche, di materiali plastici e non biodegradabili nell’ambito del ciclo produttivo aziendale, evitando che questi raggiungano gli ecosistemi marini e costieri;

• promuovere una urbanizzazione sostenibile sul litorale e nelle zone costiere, nel caso di aziende del settore delle costruzioni o turistico, che preservi i paesaggi e gli ecosistemi;

• promuovere metodi di pesca sostenibili, nel caso di aziende del settore alimentare e della pesca, facilitando l’accesso al cibo sano per più persone e riducendo l’impatto sull’ambiente marino.

• sensibilizzare i dipendenti e i fornitori sull’importanza di proteggere gli ecosistemi marini e costieri;

• sviluppare strategie di allerta e di riparazione per identificare, contenere e rimediare a incidenti e danni all’ecosistema marino causati dalle attività produttive;

• elaborare una politica per la biodiversità nel caso di operazioni che impattano sull’ecosistema marino;

• agire secondo i criteri di sostenibilità nei paesi insulari in via di sviluppo, supportando la loro crescita economica attraverso pratiche responsabili verso gli oceani e i mari;

• allineare la condotta aziendale con la Convenzione sul Diritto del Mare dell’ONU.

utilizzare i prodotti e i servizi aziendali per promuovere la gestione sostenibile degli oceani e dei mari. Per esempio, un’azienda del settore tecnologico può investire in tecnologia per la protezione della biodiversità marina, o un’azienda del settore energetico può investire in energia oceanica in sostituzione dei combustibili fossili per ridurre la contaminazione marina e combattere il cambiamento climatico;

investire in tecnologie marine sostenibili, che riducano la contaminazione e migliorino la salute degli oceani;

sensibilizzare sull’importanza della conservazione degli oceani e dei mari tramite campagne pubblicitarie o di comunicazione;

condividere conoscenza e buone pratiche;

realizzare progetti di cooperazione allo sviluppo negli stati insulari per promuoverne la crescita economica;

• attivare alleanze pubblico-private con ONG, Università, settore pubblico e altre imprese per realizzare progetti che contribuiscano a migliorare la salute degli ecosistemi marini e costieri. 

IN FONDO QUESTO

Photo by Marek Okon on Unsplash

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Photo by Naja Bertolt Jensen on Unsplash
Romina Lardo
Nasco sotto il Sole caldo al Nord dell'Equatore, là dove il Vespucci rivide una piccola Venezia. Volo, con la mia famiglia, nella Mesopotamia del Sud, quella Italiana. Due fiumi, Sciaura e Maglia, in Basilicata, a farmi sognare quell'"oltre" sul quale ho costruito ponti di parole. Per raccontare. Una Storia. Un'Impresa. Perché le parole restano la migliore connessione tra animi. Che sia un'Azienda o una Famiglia. Un Progetto. Qualsiasi "Oltre" in cui credo vale la pena raccontarlo.

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